Giovanni Soccol è nato a Venezia nel 1938.
Inizia lo studio della pittura nel 1952, frequentando l’atelier della pittrice viennese Ilse Bernheimer. L’anno seguente espone alla XLI Collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa, aggiudicandosi il premio per il più giovane espositore.
In quegli anni conosce il pittore Gennaro Favai, venendo così a contatto con un mondo affascinante, per lui assolutamente nuovo, nel quale confluiscono diverse culture e poetiche, dal Simbolismo di Mario De Maria all’esperienza parigina dello stesso Favai.
Nel 1956 si iscrive alla Scuola Libera del nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e nel 1957 alla facoltà di Architettura di Venezia, ma l’interesse per la pittura e la non corrispondenza ai suoi obbiettivi dell’indirizzo didattico della Facoltà lo allontanano ben presto dagli studi universitari. Inizia un lungo e duraturo rapporto di bottega maestro-allievo con Guido Cadorin, che sarà per lui fondamentale nell’apprendimento del mestiere.
Richiamato dalla presenza allo IUAV di Carlo Scarpa nella Cattedra di Architettura degli Interni, decide di riprendere gli studi universitari e nel 1967, con relatore lo stesso Carlo Scarpa, consegue la laurea con il massimo dei voti.
Nel 1969 Mario Deluigi, che in quel momento rappresentava la guida più qualificata per i suoi nuovi interessi verso l’Astrazione, lo chiama a collaborare nell’insegnamento di Arredo Scenico presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Si intesse così un lungo sodalizio di lavoro, studio ed amicizia che aprirà nuovi orizzonti alla sua cultura figurativa e che durerà fino alla scomparsa del Maestro. Nel 1974 Giovanni Soccol gli succederà alla Cattedra di Scenografia in Accademia.
Ai primi studi di carattere prevalentemente figurativo, che caratterizzano il suo lavoro giovanile tra gli anni ’50 e ‘60, subentra negli anni ’70 una ricerca nel campo dell’astrazione, che contrassegnerà tutti gli anni ‘80 con i cicli delle Presenze-Assenze, delle Visioni e dei Mesi.
Risale al 1973 la sua prima personale alla Galleria del Cavallino di Venezia, a quel tempo diretta da Paolo e Gabriella Cardazzo. L’amicizia con Paolo, nata nel 1950 sui banchi della scuola media e continuata durante gli studi universitari di architettura, sarà alla base di una costante dialettica culturale alimentata da una ininterrotta frequentazione.
Durante gli anni ‘70 Soccol si dedica, oltre che alla pittura, anche all’architettura di interni ed alla scenografia, sia per il teatro che per il cinema, vivendo tra Venezia, Roma e Parigi. Nel 1973 è art director del film Don’t look now per la regia di Nicholas Roeg, nel 1975 Hans Werner Henze lo chiama a collaborare come scenografo e direttore degli allestimenti scenici alla fondazione del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano. Risale a quel periodo, grazie a Guido Cadorin, l’inizio di una profonda amicizia con la figlia di quest’ultimo, Ida Barbarigo, il genero, Zoran Music, e lo scenografo e pittore francese, Léon Gischia, che dividevano la loro vita tra Venezia e Parigi. Queste nuove amicizie lo introdurranno nell’ambiente culturale francese: attraverso Gischia conosce infatti Maurice Estève con il quale intesserà una corrispondenza che durerà negli anni. Nell’ambiente parigino entra in relazione con Marc Havel, chimico della Lefranc e Bourgeois e membro della Commissione per il controllo del restauro dei dipinti dei Musei Nazionali francesi, il quale gli sarà preziosa guida nello studio dei materiali e delle tecniche pittoriche. Questa tematica sarà per lui fonte di continuo approfondimento ed argomento di una serie di saggi sulle diverse tecniche pittoriche tra Ottocento e Novecento.
Dalla metà degli anni ‘80, dopo diverse esperienze nel campo della scenografia che lo vedono impegnato in diversi teatri, tra cui nel 1986 la Royal Opera di Stoccolma, e dopo l’ampia mostra antologica dedicatagli nel medesimo anno dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Soccol decide di concentrarsi unicamente nella pittura. Inizieranno così i cicli delle Saudade e delle Isole.
L’anno successivo il gallerista Carmine Siniscalco gli dedicherà una mostra personale nella sua galleria romana, Studio S. Da questo momento nasce un rapporto di profonda amicizia e di lavoro.
Dall’inizio degli anni ‘90 l’esperienza precedente continuerà ad arricchirsi, sviluppandosi in nuove tematiche, che prenderanno forma nelle Basiliche, nelle Cisterne, nei Labirinti e nei Lits flottant. Dal 1996 con le Petroliere e proseguendo con i cicli dei Firmamenti, delle Battige, delle Maree, dei Teatri e dei Labirinti d’invenzione, Soccol rimette in discussione il suo operare, dalla struttura della superficie nel rapporto materia-segno, al contrasto cromatico sui valori di luce e luminosità, alle possibilità del tono e del timbro, per ottenere il massimo dei valori espressivi con una serrata sintesi di mezzi, senza rinunciare ad una ricchezza di valori plastici.
Nel 2017 il Museo del Paesaggio di Torre di Mosto gli dedica un’ampia mostra antologica che ripercorre cinquant’anni di attività e nello stesso anno la Galleria BOA di Parigi una mostra personale sul tema dei Labirinti d’invenzione. Nel 2019 la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia allestisce una sua mostra personale incentrata sui temi dei Teatri e dei Labirinti d’invenzione. Contemporaneamente, da parte dei “Cento Amici del Libro”, nell’occasione degli 80 anni di vita dell’Associazione, viene pubblicato il 54esimo libro d’artista, stampato a mano a tiratura limitata, dal titolo L’esilio delle due sponde, con poesie di Adonis, illustrato da una serie di sue acqueforti appositamente eseguite.
Nel medesimo anno il Museo Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo promuove una sua mostra antologica, che mette a fuoco le principali tematiche che sono state oggetto della sua produzione pittorica negli ultimi vent’anni, dominate dall’atmosfera notturna che avvolge i diversi soggetti.
Nel 2020 espone i suoi Labirinti d’invenzione in una personale al Magazzino Gallery di Palazzo Contarini Polignac a Venezia e nel 2021 presso il Labirinto della Masone a Fontanellato (Parma), all’interno della mostra Umberto Eco, Franco Maria Ricci. Labirinti. Storia di un segno.